Ogni anno il 25 novembre si celebra giornata internazionale contro la violenza sulle donne e il femminicidio.

Quella del 25 novembre non è una data scelta a caso dall’ONU: ricorre infatti l’anniversario dell’assassinio delle sorelle Mirabal, tre coraggiose donne rivoluzionarie, che furono massacrate nel 1960.

I dati dell’ANSA restituiscono una situazione allarmante:

  • Il 55% delle donne si dichiara vittima di una manifestazione diretta di molestia e discriminazione sul lavoro;
  • Il 22% ha dichiarato di aver avuto contatti fisici indesiderati;
  • Il 53% ha subito complimenti espliciti non graditi.

Le conseguenze si riflettono in una limitazione del proprio comportamento per paura che possa essere male interpretato o portare a conseguenze negative:

  • Il 58% delle donne intervistate non reagisce efficacemente di fronte ad una molestia;
  • Il 38% non vuole passare come una persona troppo aggressiva o “quella che se la prende”;
  • L’11% non sa come fare.

Un problema culturale ormai insito all’interno del contesto professionale italiano che necessita di un profondo e continuo lavoro di educazione e sensibilizzazione:

  • Il 62% dichiara di essere considerata aggressiva se si mostra ambiziosa o assertiva;
  • Tra queste, il 42% ricopre un ruolo di responsabilità dirigenziale.

Sempre rispetto a carriera e potere, siamo ancora al secolo scorso: per gli uomini è più facile e veloce crescere e vedere riconosciuti i propri meriti.

Arrivano di più e prima a posizioni di potere, ciò fa sì che in azienda la leadership diffusa sia prevalente al maschile.

La carriera della donna è ancora troppo spesso interpretata alla luce di altri fattori rispetto al merito o alla competenza:

  • Il 71% sperimenta contesti in cui la leadership e i ruoli di responsabilità sono spesso prevalentemente ricoperti da uomini;
  • Il 79% vede crescere i colleghi uomini più velocemente, anche se con minore esperienza della propria o di altre donne.

Questa difficoltà di progredire nel proprio percorso lavorativo peggiora in contesti in cui la genitorialità è percepita come condizione esclusivamente femminile.

Le donne, così, non sono serene nel comunicare alla propria azienda di essere incinta (41%).

Il 68% ha visto rallentare il proprio percorso di crescita, o quello di altre donne, a causa della maternità

Il 65% che ha sentito allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della maternità in azienda.

A generare la discriminazione non è solo un rapporto sbilanciato di forza nel contesto lavorativo dato dai ruoli operativi degli uomini rispetto a quelli delle donne, ma anche l’appartenenza al genere.